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don’t try to stump the e street band.
domenica 23 agosto 2009non ci provate, signori, mettere in imbarazzo bruce springsteen and the e street band e’ un gioco perso in partenza.
ci sono storie a lieto fine e ci sono storie che non finiscono mai.
per un momento e’ bello pensare che l’eta’ non esiste, gli acciacchi sono roba per altri, il tempo e’ rimasto li’ dove doveva rimanere, chiuso a chiave e fermo, immobile.
fino a pochi giorni fa anche io pensavo che qualcuno avesse intrappolato un ragazzino in un corpo di un sessantenne, che risponde all’anagrafe come mr. bruce springsteen dal new jersey, una moglie e tre figli. no, sbagliato.
quel signore li’ e’ arrrivato fin lassu’, dove si trova oggi, inarrivabile ed in modo inconcepibile, perche’ l’ha voluto. senza nascondersi dietro “facciamo finta che non siano passati gli anni” e “proviamo a fare come 30 anni fa”, perche’ il tempo ti segna e ti cambia. ma, se ci provi per bene, ti migliora. eccome.
cosi’, e’ passato un mese da quei tre concerti italiani, 7 giorni tra roma, torino e udine, sulla strada insieme agli amici di sempre, quelle persone che senti poco, vedi ancora meno, ma quando bruce torna in citta’ e quando tu chiami, sono sempre li’, pronti ad ascoltare e capire prima che tu dica qualsiasi cosa, complice quell’invisibile filo fatto di semplici note che ci lega da sempre, anche quando noi ancora non sapevamo.
e’ passato un mese ma i miei occhi non hanno dimenticato, nonostante la difficolta’ di credere che certe cose siano successe davvero, ancora una volta, ancora di piu’.
da quel palco nero con pochi fronzoli, perche’ a parlare per tre ore senza sosta deve essere la musica, e’ venuta giu’ tutta quell’energia che noi eravamo pronti a prendere, sperando che sarebbe andata proprio cosi’. noi, che sappiamo, sorridevamo ascoltando chi da almeno 6 anni “tanto e’ l’ultimo tour”, chi provava ancora a dire “l’anno scorso ha raggiunto il massimo, non puo’ andare oltre”, chi continuava a farfugliare “sono troppo vecchi per fare queste cose”.
ah, che ridere.
lui non e’ piu’ un ragazzino, ma voleva arrivare li’ e ci e’ arrivato. punto.
negli ultimi 2 tour aveva un obiettivo chiaro, oltre quello di regalare della gran musica, oltre quello di portare un messaggio di speranza in tempi duri; quello di avvicinare la gent, i suoi fans, come non aveva mai fatto, facendoli diventare parte integrante dello show.
una volta avevamo le scalette decise prima del concerto, oggi abbiamo tre ore di asssoluta improvvisazione, per arrivare dove vuole lui, il capo.
oggi abbiamo le richieste dal pubblico come parte integrante dello show, quei cartelli che dalle date americane hanno cominciato ad aver su scritto di tutto, con il ragazzo al teleprompter (lo schermo sotto il microfono che visualizza i testi per mr. vecchietto) che si arrabattava su internet a cercare i testi della prossima canzone, mentre chi della band pensava “questa una volta dovrei averla suonata, forse facevo le superiori”.
e quei musicisti lassu’ sanno il fatto loro, basta confrontarsi un attimo sugli accordi, seguire chi detta il tempo, ma soprattutto non staccare mai gli occhi di dosso da quel faro piantato in mezzo al palco, perche’ tutti sanno cosa sta succedendo ora, ma tra un minuto? chissa’.
cosi’, il mese passsato non ha cancellato il ricordo delle facce incredule intorno a me, non ha cancellato torino, il piu’ bel concerto che abbia mai visto, non ha cancellato l’immensa drive all night “strappata” con il gioco delle buste, non ha cancellato la my city of ruins dedicata ai terremotati de l’aquila, non ha cancellato una backstreets strepitosa, non ha cancellato gli assolo di nils in street of fire e di clarence in drive all night, direttamente da un altro pianeta.
Il tempo degli addii e’ ancora lontano, la parola d’ordine rimane sempre la stessa: rock and roll.
mike.